La ricerca è il motore del futuro

Presentata la relazione 2019 del Cnr

Estratto dalla Newsletter n.3 del Salone dello Studente

 

L’investimento in scienza e tecnologia è uno degli elementi chiave per lo sviluppo economico, sociale e culturale.

Un Paese che cresce è un Paese che investe sui giovani e sul futuro, ossia sulla Ricerca, che dello sviluppo e del futuro è il motore principale. Gli ultimi anni, caratterizzati dalla crisi economico-finanziaria che ha colpito duro in Europa (ma non solo), hanno visto, nei vari Paesi europei, una riduzione dell’investimento pubblico nella ricerca, con l’eccezione della Germania, che, non a caso, non rinuncia al suo ruolo di locomotiva europea. Lo Stato tedesco, infatti, grazie a una strategia anticiclica, ha aumentato le risorse pubbliche per il settore Ricerca e sviluppo. «La sfida della scienza passa anche per politiche orientate a un futuro, che è già presente, in cui si realizzino le necessarie sinergie tra ricerca, tecnica, ambiente, patrimonio culturale», ha detto Massimo Inguscio, presidente del Cnr.

Ma in Italia come siamo messi? Secondo la Relazione su Ricerca e innovazione in Italia del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche (consultabile per intero al link https://www.cnr.it/ sites/default/files/public/ media/Relazione_2019. pdf), in Italia la spesa per Ricerca e Sviluppo, in rapporto al Prodotto interno lordo, è in lieve ripresa, passando dal 1,0% del 2000 a circa l’1,4% del 2016.

Purtroppo però l’Italia rimane in fondo alla classifica dei Paesi europei, dove il rapporto tra investimento e Pil si attesta sul 2%. Sono però in ripresa anche gli stanziamenti del Miur, il Ministero della Ricerca e dell’Università, agli Enti pubblici di ricerca, passati da 1.572 milioni nel 2016 a 1.670 milioni nel 2018. La partecipazione italiana ai Programmi Quadro europei (Horizon 2020) è connotata da luci e ombre: la partecipazione dell’Italia ha registrato un miglioramento sia come tasso di successo e numerosità delle partecipazioni, sia come contributo finanziario raccolto , ma la distanza con il Regno Unito e i grandi Paesi dell’Europa continentale resta molto elevata, compresa la Spagna che nel ciclo di Horizon 2020 mostra una performance in continuo miglioramento.

I ricercatori italiani sono però molto apprezzati e producono una quantità di pubblicazioni in continua crescita, sia come quota che come qualità (attestata dalle citazioni medie ottenute per ogni pubblicazione). Ma quanti sono i ricercatori in Italia? Le persone impiegate, complessivamente, in attività di Ricerca e sviluppo, secondo i dati Istat 2017, sono 482.703 (+10,9% rispetto all’anno precedente). Di questi le donne rappresentano il 32%. I ricercatori veri e propri sono 195.560 (+5,2% rispetto all’anno precedente), di cui il 34% sono donne (una percentuale che dovrebbe arrivare al 37,1% nel 2025). Secondo i dati osservati negli ultimi anni, l’ammontare complessivo dei ricercatori italiani è destinato ad aumentare raggiungendo quota 226.000 nel 2015, con un incremento particolarmente accentuato nel settore delle imprese, che nel 2025 potrebbero vedere aumentata la schiera dei ricercatori del 36%, arrivando a quota 98.000. Un poco più vecchi rispetto alla media europea, considerato che nell’università italiana gli over 50 superano la metà dei docenti.

Un passo indietro si evince però al primo gradino della scala. I dottori di ricerca, il primo step per diventare ricercatore, sono sempre meno: in Italia il numero di quanti hanno conseguito il dottorato di ricerca si è costantemente ridotto nel periodo 2007-2017, con un saldo addirittura di -43,4% (Dati Adi, Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia). Con forti differenze geografiche: il Nord conta il 48,2% dei dottorati banditi in Italia, il Centro il 29,6% e il Mezzogiorno il 22,2%. Senza contare quanti sono poi i giovani ricercatori italiani che prendono la via dell’estero (secondo alcune previsioni saranno 30mila nel 2020). Dove si classificano peraltro tra i più bravi: su 408 giovani ricercatori premiati con un grant dal Consiglio europeo della ricerca, ben 37 sono italiani (il terzo gruppo più numeroso dopo tedeschi e francesi), ma soltanto 18 lavorano in 13 istituzioni italiane.