Capita parlando magari con studenti al termine di un percorso liceale di sentirsi dire: “le sembrerò strano ma io sono attratto dall’idea di Ingegneria come di Filosofia…”.
Orbene non credo che tale affermazione caratterizzi una stranezza ma semmai una ricchezza di interessi e, in una società che insiste sul concetto di polivalenza e di flessibilità, bene sarebbe poter approfondire entrambi gli ambiti.
Ma poiché non è possibile questa soluzione e le attuali Università non consentono più come nel Medioevo (trivio e quadrivio, era poi peggio?) di procedere in tal maniera, cosa dovrà fare il nostro studente? quale tra le due direzioni sarà quella giusta? le Scienze o gli studi filosofici?
Per rispondere a tale domanda e volendo offrire qualche spunto di valutazione dei propri interessi di tipo scientifico sarà opportuno chiarire il concetto di Scienza.
Cerchiamo nel dizionario Devoto-Oli e alla voce Scienza leggiamo: “il risultato delle operazioni del pensiero, in quanto oggetto di codificazione sul piano teorico (sc. pura) e di applicazione sul piano pratico (sc. applicata)”. Piuttosto ampio, vero? Se cerchiamo su Wikipedia alla voce Scienza troviamo: “le discipline scientifiche possono essere suddivise in tre categorie: le scienze formali, le scienze empiriche e le scienze applicate. Le prime, di cui fa parte anche la matematica, costruiscono teorie astratte. Le seconde, a loro volta suddivise in scienze naturali (fisica, chimica, biologia, scienze della terra) e scienze sociali, studiano la natura a partire da osservazioni empiriche. Le terze (es. ingegneria, medicina), servendosi dei risultati delle prime due, fanno progredire la tecnologia e l’industria sviluppando nuovi prodotti e servizi”.
La struttura universitaria italiana prevede oggi all’interno dell’area Scientifica (4 sono le aree di suddivisione) cieca 50 Corsi di Laurea. Insomma il campo è quanto mai vasto e non univocamente codificato.
Esistono, pur in tanta varietà, degli elementi comuni? Esiste un gusto per la Scienza e delle attitudini specifiche?
Nel suo libro dal titolo stimolante “La voglia di studiare”, Piattelli Palmarini prova a delineare in cosa consista il gusto per le Scienze e lo identifica in una facoltà di immaginativa ricostruzione: ogni scienza organizza un suo mondo e di questo mondo occorre farsi una mappa mentale ordinata e continua. Le Scienze non si imparano per ripetizione di liste o di formule, si imparano per visite guidate a questi mondi saltandoci dentro con l’immaginazione. Scoprirsi via via un po’ molecole, un po’ neuroni, un po’ giacimenti per vivere i loro destini e le loro trasformazioni è infinitamente meglio che leggerne passivamente su una pagina scritta.
Leggendo la questione dal punto di vista dello Psicologo di orientamento proviamo poi a vedere se vi siano elementi attitudinali per la riuscita in studi di tipo scientifico.
La più importante caratteristica che accomuna tutte le aree è costituita dalla capacità di condurre a termine il rigoroso addestramento che esse richiedono: per giungere a padroneggiare una scienza nella misura richiesta dalla competenza professionale è necessario un addestramento teorico e pratico di vari anni che si effettua nelle Università o altrove e può essere affrontato solo dopo un’adeguata preparazione generale. La prima attitudine richiesta è pertanto un’attitudine “scolastica” per intraprendere con successo gli studi universitari.
Cosa caratterizza l’attitudine scolastica?
Da numerose ricerche condotte si rileva che è semplicistico identificare i voti con l’attitudine nel senso che il Fattore (così si chiama in Psicologia una caratteristica costante) che misura l’attitudine allo studio è di natura molto complessa ed ingloba elementi intellettuali come elementi comportamentali. Chi ha esperienza di docenza può confermare che spesso sono i tratti di personalità ad essere più decisivi per il successo universitario; trattando dell’area scientifica riteniamo importante trovare un equilibrio tra la rigorosità della materia studiata e l’accettare un margine di rischio e di approssimazione nella preparazione. Intendiamo dire che il perfezionista rischia di non sentirsi mai pronto per l’esame e di rinviare continuamente le verifiche, mentre in corsi universitari più “filosofici” si può ritenere di poter improvvisare e discutere maggiormente una domanda del professore. Un team di esperti ha provato ad elencare le doti necessarie per lo studio in facoltà scientifiche che sarebbero:
– equilibrio e serenità nella propria visione di vita
– costanza e determinazione nell’affrontare gli impegni
– capacità di concentrazione anche in situazioni confuse
Doti che come risulta evidente sono tutte legate alla sfera della personalità più che dell’intelligenza.
In Psicologia dell’Orientamento si è tentato di costruire test specifici per valutare l’attitudine scientifica: presupposto comune è la necessità di saper applicare correttamente alcuni principi generali in modo da spiegare e risolvere problemi nuovi. Un test di questo tipo, costruito da Tyler, propone dei quesiti ai quali si deve dichiarare accordo o disaccordo e poi spiegarne le motivazioni. Secondo gli autori le motivazioni sono ritenute valide quando
1) citano fatti e principi scientifici stabiliti;
2) citano esperienze personali valide ed importanti;
3) citano referenze autorevoli;
4) indicano l’uso appropriato di analogie pertinenti alla situazione.
Le professioni scientifiche occupano comunque campi diversissimi che possono essere semplicemente applicativi oppure altamente teorici e richiedono creatività ed inventiva.
Da sempre si discute sul concetto di creatività e su come misurarla e spesso quando si tratta di studenti si ricorre alla valutazione degli insegnanti ma è stato notato che molte volte non si riesce a distinguere bene la creatività da altri fattori di riuscita scolastica. In molte Università americane, allo scopo di offrire a coloro che sono particolarmente dotati per la ricerca scientifica l’opportunità di sviluppare il pensiero critico, vengono istituiti dei corsi speciali in aggiunta a quelli ordinari. Le prove di ammissione a tali corsi vengono considerate predittive della creatività: orbene si è visto che non vi è alcuna correlazione tra creatività ed intelligenza e che molti studenti “creativi” sono privi di un’attitudine accademica elevata.
Più interessanti sono considerati i tratti temperamentali, cioè la personalità sembra più importante dell’intelligenza per la creatività sia in campi scientifici che artistici.
I tratti maggiormente presi in considerazione sono l’autodeterminazione, la socievolezza, la dominanza, l’attività e l’emotività. Studi di correlazione, cioè il possedere un tratto e risultare in seguito bravo in quello che il tratto doveva prevedere, hanno dimostrato che molti scienziati creativi sono indipendenti (autodeterminati), socievoli, dominanti ed attivi: non vi è alcuna relazione invece con l’ansia in quanto gli individui creativi possono essere sia ansiosi che non ansiosi.
È poi naturale che la scelta di studi di tipo scientifico deve essere sostenuta da forti interessi ma i questionari non sono riusciti a differenziare gli scienziati creativi da i non. Non basta cioè essere interessati alla creatività per riuscire ad esserlo ma sembra comunque che gli scienziati creativi abbiano dei forti interessi intellettuali.
Questo conduce il discorso verso l’importanza dell’ambiente: se una delle caratteristiche essenziali è una forte spinta motivazionale verso attività intellettuali, tutti i fattori capaci di favorire tale spinta vanno presi in considerazione e per primi quelli educativi. Un fatto osservato da molti autori è che scienziati creativi sono spesso figli di scienziati o professionisti. Il fatto viene spiegato non tanto da ragioni ereditarie, quanto dall’influenza educativa esercitata dai genitori, i quali imprimono o meno ai figli l’idea che il sapere e la cultura sono importanti per se stessi e non per i vantaggi economici che possono produrre. Pare inoltre che l’infanzia di molti futuri scienziati sia stata caratterizzata da genitori che hanno attribuito responsabilità all’interno di un clima liberale e poco autoritario.
Il nostro immaginario dialogo con lo studente, se ancora si dimostra interessato, si potrebbe a questo punto concludere con la sua domanda “ma poi troverò lavoro, magari legato a ricerca scientifica? Che possibilità avrò nell’Università, nei Centri di Ricerca o nel mondo produttivo? “
Ma questo esula dal ruolo dello Psicologo di Orientamento e riguarda quello del career counselor. O forse dell’aruspice.
SERGIO BETTINI
Nato a Bologna, vive ed ha studio professionale in Alessandria. Coniugato, una figlia infermiera presso Ospedale Besta di Milano.
Maturità classica conseguito presso il Liceo Classico “Plana” di Alessandria. Laurea in Lettere moderne presso l’Università di Genova. Specializzazione in Psicologia ai corsi triennali dell’Università di Torino, diretti dal prof. Massucco Costa. Iniziale insegnamento nella classe di materie letterarie in istituti medi inferiori e superiori. Esperienza decennale presso stabilimento Michelin di Spinetta Marengo, responsabile alla selezione e formazione del personale per sedi Italia. Attività per oltre un ventennio come Direttore della fondazione Centro di orientamento scolastico e professionale in Alessandria struttura originale nel suo genere in Italia sorta su concorso di 19 soci fondatori (Comuni della provincia di Alessandria, Provincia, Camera Commercio, Unione Industriali)
Iscritto nell’albo degli Psicologi della Regione Piemonte al n. 727, risulta libero professionista. Offre consulenza individuale a studenti e famiglie e come esperto di formazione a Scuole e docenti nel campo dell’Orientamento scolastico e professionale. Consulente in Master universitari, Enti pubblici e strutture operanti nel campo dell’orientamento. Consulente di Class Editori per i Saloni dello Studente da oltre un ventennio.