DAL TELELAVORO AL VERO SMART WORKING

Da un anno e mezzo a questa parte il mondo del lavoro ha visto una rivoluzione epocale: a causa della pandemia, circa 6 milioni di lavoratori hanno sperimentato quello che è stato definito “smart working”. In realtà, più propriamente, telelavoro, ossia il lavoro da remoto, da casa propria. Una cifra colossale, se si pensa che nel 2019, in epoca preCovid, gli homeworker erano 570mila. Ma il lavoro smart è ben altra cosa, come ben sanno all’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, dove stanno studiando il fenomeno da almeno una decina d’anni. Si tratta, in realtà, di un nuovo modo d’approcciarsi al lavoro basandosi sul raggiungimento di obiettivi e dando al lavoratore autonomia sulla scelta del luogo, del tempo e degli strumenti atti a raggiungere tali obiettivi. Un cambiamento storico che presuppone una rivoluzione culturale e di mentalità. Come cambierà il lavoro anche quando la pandemia sarà un brutto ricordo alle nostre spalle? Rimarrà lo smart working? E in quale percentuale? E come evolverà? Ci sarà alternanza, come in tante realtà aziendali già sta avvenendo, tra tempo passato a lavorare in remoto e presenza in ufficio?
Tutto questo è stato oggetto dell’incontro “Dal telelavoro al vero Smart working” nell’ambito della Milano Finanza Digital Week. Al convegno, moderato da Domenico Ioppolo, amministratore delegato di Campus editori, hanno partecipato: Emiliano Maria Cappuccitti, direttore Risorse umane Coca-Cola HBC Italia; Luca Caratti, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro; Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano; Marco Recchia, fondatore del gruppo Digit; Luca Ruggi, HR director di PwC Italia.