Dimensionamento scolastico. Le posizioni in campo e l’opinione del direttore de “La Voce della Scuola”

Dimensionamento scolastico: chiusura di plessi o ammodernamento dell’assetto organizzativo scolastico? I punti fermi del PNRR, tra decreti, sospensive e ricorsi. Ripercorriamo la vicenda insieme a Diego Palma, direttore de “La Voce della Scuola”

 

Un argomento estremamente sentito in queste settimane è il dimensionamento scolastico. Partiamo dagli ultimi fatti noti, sospesa dal Consiglio di Stato la sospensiva del TAR Campania sul dimensionamento scolastico. Questa notizia ha cominciato a circolare nei gruppi social dedicati alla scuola, già nel tardo pomeriggio di lunedì 30 ottobre. Poco dopo la notizia data per certa dal quotidiano il Mattino che alle 23.30 pubblica e spiega: “Il motivo della decisione del Consiglio di Stato (tecnicamente è un decreto cautelare monocratico) risiederebbe in particolare nel «periculum in mora», cioè l’estensione del perimetro di applicabilità della pronuncia del Tar Campania, favorevole alla Regione, anche ad altre realtà regionali, determinando a cascata contraccolpi sull’intero impianto del decreto e sulla individuazione degli organici”. Sarebbe in sostanza confermata la linea adottata da MIM e MEF ed anticipata subito dal Ministro Valditara, che a poche ore dalla sentenza aveva dichiarato il suo convincimento dell’incompetenza del TAR campano su di un provvedimento che avrebbe riguardato indirettamente anche le altre regioni. La notizia arriva ad una settimana dal pronunciamento favorevole della Campania, e dopo lo stop di venerdì scorso del TAR Lazio alla richiesta di sospensione cautelare per la stessa materia presentata dalla regione Puglia.
Nel ricorso depositato domenica, spiega il Mattino, “In tredici pagine, l’Avvocatura dello Stato elenca i motivi per rigettare la sospensiva, stabilendo prima di tutto «l’incompetenza del giudice che ha concesso la misura cautelare» stabilendo che la sede non doveva essere Tar Campania ma il Tar Lazio. Poi il corposo capitolo sulla «Assenza del requisito del periculum in mora» in cui è stato messo in evidenza che «la decisione appellata, se non immediatamente riformata, determinerà effetti irreversibili sull’intera procedura amministrativa che ha come obiettivo finale e fondamentale l’avvio dell’anno scolastico 2024/2025» e «a livello nazionale». Nel ricorso di MIM e MEF si sottolinea: «In caso di incremento del numero di posti assegnati alla Regione Campania, i Ministeri appellanti sarebbero costretti a rimodulare in diminuzione il numero di dirigenti e direttori assegnato a tutte le altre Regioni italiane con il sicuro effetto, quindi, di non riuscire a coprire l’effettivo fabbisogno di personale nelle altre Regioni e, perciò, sull’intero territorio nazionale; circostanza che, evidentemente, pregiudicherebbe gravemente il regolare avvio dello stesso anno scolastico 2024/2025». Altro punto recriminato: «il provvedimento adottato dal Tar Campania rischia finanche di pregiudicare l’attuazione degli impegni assunti dall’Italia in sede sovranazionale con l’adozione del Pnrr». Adesso la questione passa alla Corte Costituzionale che proprio oggi comincerà le audizioni di Puglia, Emilia-Romagna e Toscana e già il 21 potrebbe pronunciarsi sui loro ricorsi.
Lo stop del Tar Campania che ha bloccato il decreto interministeriale n. 127 del 30.6.2023, che interveniva sul dimensionamento scolastico, ha portato, solo per poche ore la Regione Puglia a sperare di avere lo stesso risultato. Speranza dissolta in un solo pomeriggio, dato che poche ore dopo la sospensiva del TAR Campania sul dimensionamento scolastico, arriva la decisione del Tar del Lazio che boccia il ricorso della Regione Puglia. Soddisfazione da parte del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara che, in una nota, asserisce: “Accogliamo con soddisfazione la decisione del Tar del Lazio, competente in materia, che ha rigettato l’istanza cautelare presentata dalla Regione Puglia contro il progetto di dimensionamento scolastico previsto dal PNRR e attuato dal Ministero dell’Istruzione e del Merito. Nelle motivazioni della decisione viene chiarito che nei contenziosi portati avanti dalle regioni non c’è alcun danno grave e irreparabile che giustifichi una misura cautelare. Avanti, dunque, nell’attuazione della misura, richiestaci dall’Europa, che non prevede la chiusura di plessi ma solo l’ammodernamento del nostro assetto organizzativo, attraverso l’eliminazione progressiva delle reggenze. Grazie a questa riorganizzazione avremo scuole più efficienti e risparmi per 88 milioni di euro; risorse che potranno essere reinvestite per il personale scolastico e non solo”.
Un tema, quello del dimensionamento molto sentito dai sindacati, che mette solo in parte in difficoltà il governo Meloni, perché in realtà è un’eredità del governo precedente a guida Mario Draghi, patron del PNRR all’italiana. Inclusa tra gli interventi necessari all’attuazione del PNRR in Italia (a detta del governo in carica allora e pure di quello in carica ora), la razionalizzazione delle autonomie scolastiche (sostanzialmente la loro riduzione) si era già arenata nella Conferenza Stato-Regioni del 29 giugno del 2022. Il conflitto era basato su previsioni numeriche decisamente distanti tra di loro. Le Regioni chiedevano di fissare il numero medio di alunni per istituto a 750 (il 10% in più rispetto ai parametri in vigore) e di escludere dal dimensionamento le scuole dell’infanzia e le primarie dei piccoli comuni. Il governo proponeva una quota minima di 900 alunni per autonomia scolastica (+20% rispetto ai numeri attuali) riguardante le scuole di ogni ordine e grado.
Al no della Conferenza Stato Regioni, Draghi aveva reagito dichiarando la volontà di procedere unilateralmente con un decreto interministeriale entro il 31 agosto 2023. Poi era caduto il governo e la nuova maggioranza aveva gettato il cuore oltre l’ostacolo già nella legge di bilancio del 2022 con un meccanismo che tentava di rispettare le prerogative regionali e le esigenze di razionalizzazioni del Ministero delle Finanze.
Ogni regione avrà un numero di autonomie scolastiche autorizzato (e finanziato) dal MEF sulla base del numero di allievi (tra 900 e 1000 per le regioni a scarsa densità abitativa). La realizzazione delle autonomie effettive e dei numeri previsti per ognuna di loro viene delegata interamente alle regioni, che potranno decidere come distribuire le autonomie autorizzate centralmente adattandole alle esigenze dei territori. In pratica ogni regione potrà attivare autonomie con pochi allievi nelle zone più complesse, da compensare con autonomie con molti allievi nelle zone più semplici (ad esempio nelle grandi aree urbane).
A decidere saranno le regioni, con tutte le implicazioni del caso sul piano più politico delle scelte concrete da fare, piano sul quale varranno le differenze di gestione degli anni passati. Poche conseguenze concrete in Emilia-Romagna, ad esempio, dove il dimensionamento previsto riguarderà solo qualche scuola; una vera sciagura secondo esperti sindacalisti e non solo per regioni come la Campania, con oltre cento scuole sotto i parametri richiesti.
Ma cos’è il dimensionamento scolastico? Per ritrovare il termine “dimensionamento scolastico” o “dimensionamento ottimale” dobbiamo fare un salto al 1998, quando il conferimento dell’autonomia scolastica alle scuole comportò la razionalizzazione della loro organizzazione amministrativa, finalizzata al raggiungimento di dimensioni idonee che giustificassero il conferimento del ruolo dirigenziale ai capi d’istituto e del ruolo direttivo ai responsabili amministrativi. A norma dell’art. 2 del D.P.R. 233/1998, per acquisire o mantenere la personalità giuridica gli istituti di istruzione furono costituiti, di norma, con una popolazione scolastica compresa tra 500 e 900 alunni. Una deroga fu concessa nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche contraddistinte da specificità etniche o linguistiche, ove il parametro fu ridotto fino a 300 alunni, mentre il superamento dei parametri normali fu consentito nelle aree ad alta densità demografica. Le scuole che non raggiungevano gli indici di riferimento sopra indicati furono unificate orizzontalmente con le scuole dello stesso grado comprese nel medesimo ambito territoriale o verticalmente in istituti comprensivi, a seconda delle esigenze educative del territorio e nel rispetto della progettualità territoriale.
Successivamente la revisione dei parametri nel corso della XVI Legislatura: L. n. 111/2011 come modificata dalla L. n. 128/2013 posta a 500 la soglia minima del numero di alunni idoneo al conferimento dell’autonomia scolastica, fatte salve inoltre le deroghe nei casi previsti dal citato art. 2 del D.P.R. n. 233, al 1° settembre 2000 risultarono 10.825 istituzioni scolastiche autonome, ciascuna dotata di dirigente scolastico e di direttore s.g.a.
Tali dotazioni furono ritenute eccessive nel corso dei processi di riduzione della spesa pubblica operati agli inizi del decennio successivo. Con l’entrata in vigore del D.L. n. 98/2011 (convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111) il numero minimo di alunni fu innalzato a 1000 negli istituti del primo ciclo e a 600 nel secondo ciclo (art. 19, commi 4 e 5). Tuttavia, l’applicazione di questi nuovi parametri comportò il ricorso alla Corte costituzionale da parte di alcune Regioni che vi avevano ravvisato un’invasione di campo da parte dello Stato, in violazione del dettato costituzionale riformato nel 2001. La sentenza della Corte costituzionale (la n. 147/2012) accolse il ricorso, riaffermando la competenza delle Regioni nella programmazione della rete scolastica sul territorio, come già previsto dall’art. 138 (co. 1, lett. b) del D.Lgs. n. 112/1998 e in continuità con la precedente sentenza n. 13/2004 là dove veniva enucleato il principio che “il prescritto ambito di legislazione regionale sta proprio nella programmazione della rete scolastica”. Seguì un intervento correttivo con la legge n. 128/2013 (di conversione del D.L. 104/2013), il cui art. 12 pose l’accordo in sede di Conferenza unificata a fondamento della definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori dei servizi generali e amministrativi, nonché per la sua distribuzione tra le Regioni.
In sintesi, le nuove regole stabilirono che:
  • la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado sono obbligatoriamente aggregate in istituti comprensivi, con la conseguente soppressione delle istituzioni scolastiche autonome costituite separatamente da direzioni didattiche e scuole secondarie di I grado;
  • gli istituti comprensivi per acquisire l’autonomia devono essere costituiti con almeno 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche;
  • alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 600 unità (ridotto fino a 400 per le istituzioni sopra citate) non possono essere assegnati né dirigenti scolastici né direttori dei servizi generali ed amministrativi;
  • tali scuole vanno conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome; il relativo posto di DSGA va assegnato in comune con altre istituzioni scolastiche.
A conclusione di questo processo di razionalizzazione, agli inizi dell’a.s. 2015/16 il numero delle istituzioni scolastiche autonome era sceso a 8.384.
Arriviamo infine ai giorni nostri, quando la riorganizzazione del sistema scolastico è inclusa, è prevista dal PNRR, ovvero la riforma dell’organizzazione del sistema scolastico, con la riduzione del numero degli alunni per classe e un nuovo dimensionamento della rete scolastica, è uno degli obiettivi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Il criterio è quello di armonizzare la distribuzione delle istituzioni scolastiche a livello regionale con l’andamento della denatalità. Il meccanismo individuato con L. n. 197 del 29 dicembre 2022 (legge di bilancio 2023, art. 1, co. 557) prevede i seguenti passaggi:
con decreto del Ministro dell’istruzione e del merito, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previo accordo in sede di Conferenza unificata, sono definiti su base triennale (con eventuali aggiornamenti annuali) i criteri per la definizione del contingente organico dei dirigenti scolastici e dei direttori s.g.a. e la sua distribuzione tra le Regioni, “tenendo conto del parametro della popolazione scolastica regionale”;
il coefficiente di calcolo applicato dal Ministero per il computo delle autonomie scolastiche è “non inferiore a 900 e non superiore a 1000”;
le Regioni provvedono autonomamente al dimensionamento della rete scolastica entro il 30 novembre di ogni anno, nei limiti del contingente annuale individuato dal decreto.
Per i primi sette anni, a decorrere dall’a.s. 2024/2025, sono previsti correttivi non superiori al 2% annuo, finalizzati a salvaguardare le specificità delle istituzioni situate nei comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche, anche con forme di compensazione interregionale.
Le motivazioni principali sono legate ai risparmi così conseguiti sono destinati ad incrementare il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche ed altri finanziamenti a favore del personale direttivo e docente. A conclusione del procedimento (a.s. 2031/32), il numero delle istituzioni scolastiche autonome risulterà ridotto a 6.885. Tale accorpamento delle scuole non potrà non riverberarsi sul numero dei Dirigenti scolastici, dei direttori s.g.a. e dei collaboratori scolastici.
Il punto che dovrebbe portare a riflettere tutta la comunità educante è sulla scuola che verrà. Fino a quando la scuola verrà considerata solo un mero costo per lo Stato? Quali politiche mettere in campo per contrastare la profonda crisi demografica?
Interrogativi e prerogative che inducono oggi la politica e i sindacati a confrontarsi con attenzione e determinazione per mettere in campo azioni che possano invertire tutte le tendenze negative degli ultimi vent’anni, sottraendo la scuola dalle oscillazioni e dai vincoli dei futuri bilanci, questo principio semplice per sostenere un sistema di istruzione nazionale, moderno e di qualità dovrebbe essere la base di tutti o governi.

di Diego Palma