Per costruire il proprio progetto di vita ciascuno necessita innanzitutto di una appropriata e consistente motivazione, in secondo luogo di informazioni adeguate ed infine di un bagaglio di competenze appropriato, somma di conoscenze e capacità (1) che nella terminologia di orientamento vengono comunemente definite “il sé” le prime e “la realtà esterna” le seconde.
Le conoscenze (knowledge) sono costituite dal “sapere” o, per essere più precisi, dai diversi saperi che sono posseduti da un soggetto. Sono relativamente semplici da definire, sono gerarchicamente organizzabili e vengono trasmesse dalla scuola o dalla famiglia, ma possono anche essere costituite da concettualizzazioni derivanti dall’esperienza (by job).
In termini pratici possono essere ricondotti a standard in uscita dai diversi livelli di scuola o dai diversi sistemi formativi. Questo attiene alla didattica e, per quanto sia sempre possibile migliorare, la Scuola italiana è un’ottima scuola.
Le capacità (skill) rappresentano la dimensione più complessa da definire e da indagare proprio perché rappresentano quell’insieme di risorse soggettive che hanno un marcato riscontro psicosociale, cioè affondano le loro radici nelle strutture profonde del soggetto. Sono sviluppate nell’ambito della famiglia ma anche della scuola e degli ambienti, tra cui quelli lavorativi, in cui il soggetto si trova a vivere. In termini operativi si tende a distinguere tra quelle denominate base skill (capacità di base) che costituiscono una sorta di pre requisito per lo stesso vivere sociale e le life skill, cioè quelle capacità, altrimenti dette trasversali, il cui possesso si rivela utile nell’ arco della propria vita lavorativa e costituiscono, in sostanza, la carta vincente nell’accesso al lavoro: la capacità cooperativa, quella comunicativa, quella autovalutativa, quella di confrontarsi con culture diverse, ecc.
Sempre più il mondo del lavoro è disposto ad accettare giovani non ancora in possesso dell’ultimo aggiornamento tecnologico (si pensi al campo informatico ma non solo) ma richiede loro la capacita e disponibilità ad apprenderlo rapidamente. Si sente parlare di light skill nel senso che
diventa assai importante la collaborazione o co-working, un comportamento focalizzato sullo sviluppo di abilità necessarie ad interagire con gli altri, in un contesto in cui a fronte dell’interdipendenza nei mercati, dell’evoluzione tecnologica, dei processi migratori l’interazione è sempre più destinata ad avvenire all’interno di gruppi eterogenei.
Come dice Seligman, il padre della Psicologia positiva (2), “è meglio andar d’accordo che vincere”.
Nel campo dell’orientamento quali sono allora le life skill da educare nei giovani?
Un buon riferimento è costituito dal documento ministeriale inviato alle scuole (3) in allegato alla relazione tecnica sull’obbligo di istruzione in cui venivano indicate otto competenze da raggiungere:
Naturalmente questi otto punti, molti dei quali sono applicabili all’orientamento, restano bei proponimenti se non vengono poi offerte ed attuate le strategie per il loro raggiungimento. E forse, pur auspicando una sempre maggior autonomia didattica, alcune indicazioni (e strumenti) ulteriori non sarebbero dispiaciute. Si consideri ad esempio il primo dei punti citati ormai diventato uno slogan: imparare ad imparare.
Diventare esperti e ottenere risultati efficienti negli apprendimenti implica conoscere e padroneggiare le proprie abilità cognitive ed adeguarle alle situazioni richieste. Ma come trasmettere questo insegnamento? E’ nota in psicologia la diversa complessità di un processo di apprendimento se ci si limita a memorizzare una informazione oppure occorre acquisire un comportamento. Sui processi di memorizzazione dei dati, basta la memoria dichiarativa dell’ippocampo, che lo studente attiva ogni giorno in classe si può essere ottimisti che i giovani escano dalla scuola sapendone a sufficienza, anche se naturalmente i risultati dipendono dalla loro motivazione.
Sull’acquisizione di comportamenti ovvero sulle azioni messe in atto, in questo caso ad imparare ed a decidere, si deve fare riferimento alla memoria operativa o comportamentale sita nel cervelletto per cui non basta una intenzionalità teorica ed immediata del soggetto ma si richiede un training di applicazione voluto dal soggetto e più continuativo. Un esempio banale ma efficace proposto dalla PNL (Programmazione neurolinguistica) è che se si volesse imparare un nuovo modo di allacciarsi le scarpe lo si dovrebbe fare per tre settimane di seguito, due volte al giorno. Si comprende dunque che saper decidere in modo efficace significa un comportamento acquisito non teoricamente appreso.
La competenza non è ciò di cui si parla ma ciò che si fa ed il modo attraverso cui si perviene a farlo in misura soddisfacente.
La Scuola sa lavorare per problemi e soluzioni nelle varie discipline ed insegna percorsi decisionali ma non è così scontato per lo studente un transfert nel campo dell’orientamento.
Sarebbe importante dedicare maggiori discussioni e riflessioni a quello che Feuerstein chiama il bridging ovvero l’abitudinene a gettare un ponte tra un concetto teorico appreso e la sua applicabilità nel quotidiano (4).
Avendone preso consapevolezza, e può bastare un’ora di discussione in classe, si agisce (magari per tre settimane) e diventa abitudine. Dunque non sarà efficace la “settimana” di orientamento ma discuterne tutto l’anno con un’alternanza continua tra concetti e loro acquisizione. Si tratta di offrire ai soggetti maggior consapevolezza dei loro comportamento e delle loro potenzialità e svolgere, anche se non codificato, quello che si definisce un bilancio di competenze. Sarebbe anche utile che tutti i dati raccolti fossero registrati dal beneficiario in un documento di sintesi in modo da permettere all’individuo di prendere coscienza degli scarti esistenti tra l’immagine che egli possiede di sé e quella emersa durante le azioni/ bilancio così da permettere alla nuova percezione di attivare un processo di cambiamento. Il bilancio di competenze svolto nei centri istituzionali termina col “portafoglio di competenze “ individuale compilato dal soggetto che dà memoria dei cambiamenti appresi. In alcuni paesi europei al termine di ogni anno scolastico viene effettuato un esame di “orientamento” per verificare la presa di consapevolezza dello studente; da noi resta l’impressione che al termine di esperienze anche eccellenti non rimane alcuna traccia non solo nei registri scolastici ma in mano agli stessi soggetti. Si spera che resti nel loro agire
(1) Il termine COMPETENZA ha sostituito nell’ambito dell’educazione, dell’orientamento e nel mondo del lavoro, i termini come “sapere” o conoscenze. Si intende la caratteristica individuale collegata a una
performance efficace in una situazione o in una azione. In sintesi ci si riferisce alla terminologia adottata con la formula delle 3C, in quanto il termine Competenza comprende e assomma gli aspetti di Capacità, più innati e psicologici, e quelli di Conoscenze, più appresi e didattici.
(2) Seligman M., La costruzione della felicità, 2010, Milano, Sperling & Kupfer
(3) Allegato 2, Decreto n.139 del 22 Agosto 2007 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” che ha individuato le otto competenze chiave di cittadinanza che ogni cittadino dovrebbe possedere dopo aver assolto il dovere all’istruzione. Si richiama a sua volta alla Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio “Relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente”, 2006.
(4) Feuerstein R., Il programma di arricchimento strumentale di Feuerstein. Fondamenti teorici e applicazioni pratiche,2003, Trento, Erickson