Manifattura più tecnologia: mix didattico vincente per la moda moderna

Il direttore dell’università di Pontedera, Alessandro Bertini, spiega i presupposti che hanno preparato la vittoria della sua accademia al Milano Fashion Week con la collezione della studentessa Giulia Barbieri

 

Dietro un grande talento c’è in genere una grande bottega di formazione. Quali sono le specificità del vostro metodo didattico?

Puntiamo sul modello toscano mixando l’attività di ricerca e di sperimentazione con il saper fare. L’attività laboratoriale contraddistingue d’altronde tutto il nostro territorio, e quindi anche le filiere di eccellenza toscana, fra le quali la moda. L’approccio didattico unisce ricerca, laboratorio e forma mentis aziendale.

Il contatto con le aziende quanto è importante?

Nella collezione di un progetto gli studenti sono chiamati a svolgere un’attività in linea con metodologie, attrezzature e tempistiche dell’impresa reale. Noi li formiamo con quelle capacità di realizzare un prodotto che comunichi e che sia ben fatto.

Il vostro sito sembra già un biglietto da visita…

Mi piace definire digitart il nostro approccio: tecnologia moderna e creazione manuale. Lo stesso marchio, Modartech, suggerisce l’unione tra due pilastri della contemporaneità: digitalità e tecnologia applicata da una parte; storia, bellezza e manualità di una volta dall’altra.

Come definisce il lavoro della vostra vincitrice?

La collezione di Giulia ha un’anima, mostra maestranza, voglia di comunicare il proprio sapere fare, che è un po’ la filosofia di Modartech. Giulia ha interpretato bene le necessità del nostro tempo: il crescente mondo digitale, per affrontare le sfide future, dev’essere integrato con la manualità. Il forgiare artigianale non si spegne con il progresso tecnologico. Giulia è parte di una generazione dove i nuovi laureati devono prepararsi a un mondo del lavoro in continua evoluzione. Tante professioni stanno passando al digitale. Ma quest’ultimo da solo non basta se un prodotto non comunica anche freschezza e quel linguaggio genuino che anche le aziende attive sul mercato possono capire.

Secondo lei cos’ha indotto la giuria a premiare la vostra studentessa?

Gli abiti di Giulia sono prodotti indossabili: dal backstage di una sfilata li puoi mettere e uscire fuori per strada. E poi mostrano una storia oltre che dei tessuti: parlano di America del profondo ‘900, di apartheid, di battaglie per i diritti civili. Mettono al centro l’integrazione culturale, esprimono temi attuali. Sono un excursus estetico-artistico che lega diverse generazioni di movimenti di liberazione, con i loro costumi, i loro colori, la loro cultura. La commistione di culture diverse, l’ibridazione di stili e momenti storici, è stato secondo me un altro asset vincente.

Volendo scegliere un argomento premiante su tutti?

Secondo me hanno colpito gli indumenti completamente realizzati a mano. Che esprimono il concetto che Giorgio Armani sintetizza nella frase: “Prendiamoci il tempo necessario a fare un bel prodotto”.

Di studenti lei ne vede tanti. Come si fa ad aiutarli a trovare la loro strada?

Sono una generazione per la quale vanno create le condizioni migliori per esprimersi in un periodo così competitivo. Non gli manca niente, anzi: la loro capacità di utilizzare la tecnologia valorizza le loro attitudini. Però serve impegnarsi su ciascuno di loro anche individualmente, serve tirar fuori le anime di ognuno. A Modartech cerchiamo di lavorare sulle caratteristiche di ogni studente, di coniugare le loro predisposizioni con le esigenze tecnologiche del mondo di oggi. Se agiamo sui valori intrinsechi di ciascun giovane contribuiamo anche a massimizzarne la loro futura professionalità.

Insomma, creatività individuale da un lato ma anche regole della produzione dall’altro…

Alla base c’è la cultura che deve essere sempre più presente nel prodotto e deve valorizzare e raccontare una storia. Oggi la moda è comunicazione.

Ora tutte le aree professionali guardano al post-covid con preoccupazione. Che percorso si può prevedere  spazio per un settore sino ad oggi così lanciato come la moda?

Come successo in passato, nelle difficoltà si trova la forza per risollevarsi e rigenerarsi. La moda è un mondo che per suo Dna si evolve in continuazione, è abituata a cambiare e a rinnovarsi continuamente e per questo potrà affrontare meglio la situazione: individuare, intuire, forse anticipare il modo di uscire dall’emergenza.

Voi come Modartech come potete contribuire a uscire dall’emergenza?

Dobbiamo formare studenti pronti al cambiamento. Formarli a non smettere mai di imparare, rendendoli consapevoli che lo studio è un percorso evolutivo che non finisce mai. Offrendogli quegli skills utili affinché siano essi stessi a favorire questo cambiamento nelle imprese. Se gli creiamo le condizioni, i giovani possano fare la differenza, specie in un mondo in cui il digitale, di cui sono nativi, sta prendendo il sopravvento.

Obiettivi per il futuro?

Vogliamo creare figure che possano mettersi in gioco in modo imprenditoriale. La tecnologia favorisce l’imprenditorialità in tutte le professioni. Quelle attività che hanno una componente creativa avranno meno difficoltà. Dobbiamo valorizzare nuovi segmenti, come il fast fashion, e accentuare i valori che hanno premiato la moda italiana nel mondo: l’essenza del bello, la necessità di consentire il tempo necessario affinché un prodotto diventi veramente un’eccellenza. Questi valori, uniti alla tecnologia, possono fare una grossa differenza. Nella moda e non solo.

La globalizzazioni cambia equilibri e mercati. Voi come vi adeguate a questo cambiamento perenne?

Come Istituto Modartech da quest’anno siamo inseriti nel circuito Erasmus, con cui possiamo favorire gli scambi culturali all’estero dei nostri iscritti. Ma l’internazionalizzazione la stiamo portando avanti da anni con progetti con università straniere. Da 10 anni dalle università inglesi arrivano giovani a trascorrere l’estate da noi, imparare la nostra artigianalità, specie nel mondo dell’accessorio. Recentemente abbiamo concluso un progetto con un’università indiana sull’heritage. Oggi un istituto deve formare studenti mettendoli in condizioni di pluralità di strumenti e di contesti di ricerca, con occasioni di confronto concrete e laboratori non finalizzati a se stessi ma sviluppati come se dovessero avere uno sbocco sul mercato.

Avete timori per le nuove potenze asiatiche e orientali?

La Cina è da tempo una realtà importante, così come il mercato africano, che alcuni sottovalutano. Per mantenere le nostre posizioni serve monitorare l’evoluzione del digitale nella globalizzazione. Che è importante ma deve tener conto di specificità nelle quali l’italianità mantiene una marcia in più: il bello, la personalizzazione, l’artigianalità continueranno a fare la differenza anche in un mercato globalizzato. Si copia difficilmente. Si impara dall’interno, non la si copia dall’esterno con la stessa efficacia.

Alle passerelle vediamo sfilare abiti esotici, ma difficilmente indossabili nella quotidianità. Avete mai pensato a un corso di everyday fashion, o di smartwork stylist, che sarebbe tanto utile di questi tempi?

Spesso nelle passerelle vanno per la maggiore prodotti che esaltano valori, progetti, concetti, racconti che poi difficilmente sono trasportabili nel prodotto portabile. Però dobbiamo concedere ai nostri studenti la massima espressione della creatività per favorire tutte le fasi della loro formazione. Accanto a questo approccio, però, portiamo gli studenti a lavorare con la consapevolezza che il prodotto deve essere venduto e indossato, deve diventare spendibile e portabile. La massima che ricordiamo sempre è che il ciclo di un abito si chiude solo quando esce dal negozio! Sarebbe opportuno avere ancora più attenzione a questa necessità. Giulia ha fatto emergere un prodotto ricercatissimo e indossabile insieme, quindi sostenibile. Se non ci saranno corsi specifici, mi auguro almeno che nei singoli corsi ci saranno dei contenuti specifici: creatività coniugata alle esigenze della quotidianità. Nell’ideazione serve sin da subito una declinazione d’uso della creatività: solo allora lì si chiude il cerchio.