Il futuro può diventare il migliore dei mondi possibili? Dipende da noi

Futuro. La parola che più ricorre in qualunque saggio, intervento, articolo di giornale, talk show televisivo. E da quando sua maestà l’algoritmo ci ha promesso di poter “prevedere” le nostre azioni, o meglio di poter calcolare, la probabilità che un essere umano, date alcune circostanze, assuma determinati comportamenti, la scienza apre davanti a noi praterie sconfinate. Portando però con sé due conseguenze: da un lato il rischio della riduzione dell’agire umano a un numero e dall’altro la reiterazione di dinamiche del presente. Un modus cogitandi, legato agli interessi di chi in questo mondo è avvantaggiato e tale vuole rimanere anche nel prossimo, che prefigura una sorta di colonizzazione del mondo che verrà: è il punto di partenza del saggio Occupare il futuro (Codice Edizioni, 23 euro; e-book 10,99). Una lettura illuminante per tutti coloro che vogliono lanciare il pensiero oltre se stessi. L’autore, Roberto Paura, cofondatore e presidente dell’Italian Institute for the Future, mette in guardia dal pensare al futuro come a una somma di componenti derivate dal presente, invitando a immaginarlo per cambiarlo. “Dovremmo riuscire a pensare al futuro in modo diverso da quanto facciamo oggi, superando cioè le visioni del domani che ci vengono imposte”, scrive Paura. “I problemi che dobbiamo affrontare sono infatti il prodotto delle politiche egemoniche messe in campo, nel corso dei decenni, da quegli stessi gruppi di potere che hanno colonizzato il futuro”. In questo saggio, una miniera di riferimenti, studi e inviti all’approfondimento, Paura ci conduce in un viaggio dal passato a ciò che verrà. L’uomo da sempre ha messo al centro delle proprie indagini il futuro sia come immaginario narrativo (dalla fantascienza alla letteratura distopica), sia come oggetto scientifico. Paura ce lo racconta nella prima parte del libro, “Occuparsi del futuro”, un affascinante excursus su come gli uomini del passato immaginavano o temevano il mondo a venire: dalle visioni di H.G. Wells alle prime utopie, dall’appassionante duello storiografico, tra 700 e 800, agli albori della psicostoria. I capitoli successivi del libro ci tuffano nel pieno Novecento, quando lo studio del futuro era inevitabilmente declinato sulle suggestioni nucleari. Un capitolo non del tutto chiuso. Quanto sta avvenendo tra Russia e Ucraina disegna un salto all’indietro della Storia che rende tuttora presenti le apprensioni del secolo scorso. E se l’autore, nella sezione “Preoccuparsi del futuro”, riempie pagine dense sui timori degli ultimi decenni relativi al cambiamento climatico, alla sovrappopolazione, all’esaurimento delle risorse naturali, all’esplosione o implosione dei moderni sistemi organizzativi, è nell’ultima parte, “Occupare il futuro”, che Paura ci sfida a uno sforzo di immaginazione: come supereremo l’Antropocene? E da che parte stiamo? Tra quelli che pensano al domani come il mondo delle “magnifiche sorti e progressive” o tra coloro che invece immaginano una desertica landa inospitale, distrutta dal nostro cieco impulso allo sviluppo? Da qui il libro apre diversi scenari, introduce parole rivoluzionarie come “speranza”, riflette sul potere dell’algoritmo e sull’espansione dei nuovi modelli economici indirizzati dai Big Tech e dalle criptovalute. Fino alle nuove frontiere dell’Intelligenza artificiale che richiamano alla mente evocazioni cinematografiche alla RoboCop, Terminator o Iron Man. Ma per occupare il futuro in maniera intelligente dobbiamo farne il metro sul quale misurare le nuove sfide, che passano da una collaborazione intergenerazionale (ricordate Greta Thunberg che accusa i potenti dell’Onu di aver rubato i suoi sogni?) alla riflessione sul possibile “inverno demografico”, il calo della popolazione prefigurato da alcuni modelli. Trend che porterebbe a un ribaltamento delle prospettive e alla necessità di nuove idee e nuove teorie.

 

Recensione di Sabrina Miglio