COMINCIAMO BENE

ORIENTALOSA  di Sergio Bettini

Il protagonista del romanzo di Paola Capriolo intitolato significativamente Un uomo di carattere, afferma che le decisioni giuste non sono altro che quelle portate sino in fondo. Si può applicare la stessa affermazione agli studenti che, dopo aver magari con grandi difficoltà preso la decisione di iscriversi a un corso di laurea, sono ora diventati “matricole” in quanto immatricolati sopra un registro. Se si è scelto bene o no è ormai questione che appartiene al passato. Tra breve si comincia ed è tempo di conoscere più da vicino il Palazzo universitario, varcandone la soglia e aggirandosi nelle aule che si riempiranno di studenti o almeno così si spera possa accadere quanto prima.
La prima sensazione che probabilmente si proverà è quella di solitudine. Lo studente è il vero protagonista dell’Università, ma nessuno gli ha scritto il copione o le battute e neppure è chiara la scenografia nello sfondo. Quello che appare certo è che l’impegno non sarà facile: risuonano avvertimenti preoccupanti sul fatto che solo una percentuale di iscritti arriverà a laurearsi e molti abbandonano entro i primi due anni. Come occorre affrontare allora la vita universitaria? Chi può dare qualche suggerimento?
Prendendola un po’ alla lontana possiamo ricordare l’antica saggezza di Epitteto secondo cui non sono le situazioni o gli avvenimenti in sé che preoccupano, bensì le opinioni che si formano al riguardo. Secondo Albert Bandura, psicologo dell’Università di Stanford in California, un maestro nella ricerca della self-efficacy (auto-efficienza), il modo in cui valutiamo la nostra capacità di far fronte a una situazione influenza l’apprendimento e le possibilità di future prestazioni: davanti alle difficoltà le persone che nutrono dubbi sulle proprie capacità diminuiscono i loro sforzi o abbandonano l’attività, mentre coloro che dispongono di un maggior senso di efficacia personale esercitano un impegno maggiore al fine di riuscire nell’impresa. Questo spiega perché in uno stesso compito, e a parità di abilità, alcuni perseverano nell’impegno mentre altri assumono un atteggiamento rinunciatario.
Il problema però si complica in quanto le aspettative di efficacia si modificano nella stessa persona da situazione a situazione: un buon oratore sarà tranquillo sul discorso che sta per fare, ma può dubitare di riuscire a perdere cattive abitudini alimentari. Lo studente che era bravo nella scuola superiore può dubitare di sapersi inserire in un nuovo ambiente universitario magari molto competitivo non per gli aspetti di apprendimento ma per quelli di nuove relazioni sociali. È proprio la situazione che vive il neo iscritto all’Università a impedire confronti noti con il passato e ad aumentare l’incertezza. Un aiuto può giungere inizialmente dal confronto con altri di cui si ha fiducia: riterremo più facilmente di saper fare fronte a un nuovo problema se qualcuno ci conforta sulle nostre capacità di riuscita e così pure saremo più ottimisti se osserviamo persone che riteniamo simili a noi affrontare con successo la situazione. Dunque, la matricola guardinga può cercare di allacciare subito unioni con i compagni di corso e con studenti più anziani per confrontarsi con loro e trovare sostegno. Anche qui le regole non sono comunque generalizzabili e non sempre la presenza degli altri è vantaggiosa: quando il confronto esterno supera le risorse personali il senso di autoefficacia può risultare sminuito, quindi conviene considerare attentamente l’ipotesi di studiare o trovarsi a convivere con compagni troppo “impegnativi”.
L’inesperienza del primo anno conduce inoltre al rischio di non saper cogliere le cose veramente utili, di non interpretare correttamente persone e situazioni ma di farsi idee sbagliate. In sintesi è probabile che il timore, sempre forte all’inizio, di brutte figure o di porre domande sciocche induca lo studente a costruire delle opinioni sulla base di ciò che gli pare di aver intuito o senza approfondimenti o verifiche con altre fonti. Sarà il caso di rammentare allora che tra gli obiettivi per cui si frequenta l’Università c’è anche quello di migliorare la comunicazione verbale con gli altri. La capacità di parlare e di riuscire a farsi ascoltare non è sempre un dono di natura, ma un’arte che va imparata e raffinata e doppiamente quindi sarà utile esercitarsi nel porre domande all’inizio dell’Università quando il non sapere è ancora tollerato e il cercare spiegazioni viene comunque inteso in senso positivo. Poi naturalmente est modus in rebus e c’è chi non sa dosare il proprio chiacchiericcio e sembra che frequenti l’Università più per parlare che per imparare. Può essere utile richiamare l’insegnamento di Carl Rogers sull’uso del colloquio: ciò che ci fa accettare dagli altri è la capacità di atteggiamento empatico (sentimento neutrale tra la simpatia e l’antipatia), non valutativo ma disponibile e rispettoso, accompagnato da una curiosità non invadente. Unendo a questo la chiarezza di contenuti e la capacità di sintesi si è già a buon punto: si è in grado di ascoltare.
I docenti universitari sono poi d’accordo nel raccomandare la frequenza: l’Università, vi sono molte opportunità che però vanno sfruttate non attese passivamente e un atteggiamento di partecipazione attiva nei confronti delle lezioni e verso le strutture dell’ateneo è indispensabile.
In termini ancor più sintetici
SERVONO
DISPONIBILITÀ, CURIOSITÀ, ATTENZIONE
NUOCCIONO
INSICUREZZA, STANCHEZZA, DISTRAZIONE
In Psicologia si potrebbe richiamare il concetto di apprendimento condizionato: è assai meglio apprendere subito comportamenti corretti piuttosto che doversi poi “decondizionare” per abitudini sbagliate. Alcuni docenti affermano di saper riconoscere dopo poche settimane chi continuerà e chi abbandonerà l’Università osservandone i comportamenti: conviene dunque considerare l’azienda Università alla stregua di un nuovo lavoro che ha un orario giornaliero. È in questi anni, per esempio, che  si impara il concetto di puntualità.  Altra buona abitudine sarebbe occupare le prime file non solo per farsi ricordare nel momento dell’esame quanto per l’importanza di essersi messi volutamente in condizioni che allontanano il rischio di distrazione.
Una simile affermazione porta a considerare le ricerche di Julian Rotter  sul locus of control (luogo di controllo) che risalgono agli anni 60 e dividono le persone tra coloro che situano il controllo degli accadimenti all’interno o all’esterno di sé. Negli ultimi decenni, è stata più volte dimostrata la relazione tra il locus of control e l’efficacia in campo scolastico, nel senso che il convincimento di controllare le situazioni in modo personale e dipendente dalle proprie qualità e competenze (locus interno) è correlata a un miglior profitto scolastico. Inoltre i soggetti a locus interno presentano punte meno elevate di ansia da esame, una variabile che contribuisce spesso a diminuire il rendimento scolastico di molti studenti, già a partire dalle elementari. È dunque evidente che se si riesce ad attribuirsi (si parla così anche di stili di attribuzione) le cause del proprio successo o insuccesso si risulterà più efficaci.
Le cause tendono a essere divise in:
CAUSA INTERNA: ovvero ciò che è successo dipende dal soggetto
CAUSA ESTERNA: ciò che è successo dipende da fattori esterni non controllabili
CAUSA STABILE: la modalità di accadimento è costante nel tempo
CAUSA INSTABILE: l’accadimento è un fatto isolato e ogni volta diverso
CAUSA GLOBALE: si può generalizzare perché è successo il fatto
CAUSA SPECIFICA: il fatto è riferito solo a una determinata situazione
 Quanto più si ritengono le cause INTERNE, STABILI, GLOBALI tanto più sembra di poter controllare le situazioni e non essere in balìa del destino. Se poi fa piacere usare degli amuleti o dei riti perché “portano bene”, questo non fa male a nessuno: Malinowski osservò che le persone eseguono pratiche magiche soprattutto nelle situazioni incerte e l’Università possiede certamente una grande quota di incognito. L’importante, a differenza del pescatore delle isole delle Trobriand che crede solo nei suoi rituali, è magari aver anche studiato.
Infine una riflessione: il cambiamento e l’inizio di qualcosa può essere associato non solo a sentimenti d’incertezza e timore ma anche a un momento magico e irripetibile che è appunto il cominciare una nuova avventura togliendosi dalla routine.
Si respira aria diversa che può agire in noi caricandoci di serena e fattiva energia e di buoni propositi: siamo esploratori in un nuovo continente, si azzera il passato, si prova il robusto slancio di una vita diversa e si sente un’eccitazione e una voglia da far durare più a lungo possibile prima che  inevitabilmente tenda a spegnersi.
Dunque, l’augurio è di vivere questo inizio non come ansia da superare presto, ma anzi come tensione emotiva positiva che porti con sé la magia di avere sempre la stessa curiosità e la stessa carica in un mondo imprevedibile da conquistare giorno dopo giorno.