La ricerca in Italia: a che punto siamo?

Presentata a Roma, nella sede del Cnr, il Consiglio Nazionale delle ricerche, la quarta edizione della Relazione sulla Ricerca e l’Innovazione in Italia – Analisi e dati di politica della scienza e della tecnologia

 

Assegnazione competitiva di finanziamenti pubblici per lo svolgimento di progetti di ricerca e sviluppo, mobilità dei dottorandi di ricerca, brevetti, trasferimento tecnologico e fiducia nella scienza: questi i grandi temi della Relazione sulla Ricerca e l’Innovazione in Italia, presentata nella sede del Cnr a Roma, un documento che testimonia lo stato dell’arte della ricerca nel nostro Paese e la sua posizione in un contesto internazionale.

“La Relazione presenta confronti tra l’Italia e gli altri Paesi, valuta la capacità di innovare, presenta dati interessanti sui brevetti, dove il contributo italiano è particolarmente significativo sulle nanoscienze e prefigura l’impatto del Pnrr sullo stato di salute della ricerca italiana, che ci vede ottimisti, ci sono più investimenti, più ricercatori e più programmi”, ha commentato Maria Chiara Carrozza, presidente del Cnr. “Uno dei temi che più ci interessa è l’innovazione che si accompagna a una riflessione sui rapporti con le imprese e con i fondi di investimenti al fine di colmare il gap tra ricerca e mondo industriale. Questa relazione rappresenta, pertanto, un’utile occasione di confronto e uno stimolo a migliorare rivolto a tutta la comunità di ricercatori e ricercatrici, studiosi e innovatori del nostro Paese”.

“La relazione propone gli strumenti per fare il punto su come la ricerca può trovare sponda nell’innovazione e come può migliorare il contesto nel quale viviamo, traducendosi in fatti concreti. Si tende a dare per scontato che la ricerca si trasformi in innovazione, ma spesso le idee, per concretizzarsi, hanno bisogno di essere tradotte perché spesso ricerca e mondo imprenditoriale usano linguaggi diversi”, ha detto Salvatore Capasso, direttore del Dipartimento scienze umane e sociali, patrimonio culturale del Cnr. “Studiare come finanziare la ricerca per un Paese è fondamentale per quanto attiene il trasferimento tecnologico”.

Cinque i capitoli in cui la Relazione è articolata: il primo riguarda il tema dell’assegnazione competitiva di finanziamenti pubblici per lo svolgimento di progetti di ricerca e sviluppo presentati in risposta a bandi pubblici competitivi, analizzati nel periodo 2012-2021 e comparati con programmi analoghi in Austria, Germania, Svizzera e Regno Unito. Di questo ha parlato Antonio Zinilli dell’Ircres che ha sottolineato come la ricerca abbia esaminato anche gli orientamenti, le strutture gestionali e i tempi di attuazione dei programmi di ricerca. “L’Italia ha tradizionalmente una quota relativamente bassa di finanziamento competitivo rispetto ad altri Paesi e in più soltanto alcuni di questi finanziamenti sono stabili”, ha detto il ricercatore. Questo pone difficoltà alla comunità scientifica nella sua attività di pianificazione. A ciò si aggiunge un ridotto orientamento degli strumenti di finanziamento verso obiettivi di ricerca collegati alle grandi “Societal Challenges” – o sfide sociali- e alle Tecnologie Abilitanti lanciate dai Programmi Quadro Europei e recentemente confermate anche nell’ambito del programma pluriennale dell’Unione Europea “Horizon Europe”. Una novità è, tuttavia, rappresentata dal PNRR, che sta fornendo risorse per una massiccia quantità di nuovi investimenti: una scommessa importante che darà i suoi frutti quanto più permetterà di generare opportunità a lungo termine, attivando un circolo virtuoso in grado di creare nuova innovazione da cui scaturirà un rifinanziamento per lo sviluppo di nuove conoscenze scientifiche. A differenza di altri Paesi europei che basano il loro sistema su agenzie indipendenti, in Italia la gestione dei programmi pubblici di finanziamento Ricerca&Sviluppo è affidata principalmente ai ministeri che giocano un ruolo cruciale nell’allocazione delle risorse. Ciò, secondo la Relazione, comporta una maggiore rigidità e una minore resilienza nell’affrontare le nuove sfide sostenibili e tecnologiche. Tra i possibili sviluppi futuri, si può valutare la creazione di modelli ibridi che combinino la centralizzazione dei ministeri con la flessibilità operativa di agenzie indipendenti.

Il secondo capitolo della Relazione, presentato da Lucio Morettini, Ircres, affronta l’impatto della mobilità dei dottorandi. I dati, acquisiti attraverso il database “Mobility Survey of the Higher Education Sector” (More), prendono in esame ricercatori e dottorandi in oltre trenta Paesi europei, di cui il 35% italiani. Emerge come la mobilità favorisca le opportunità di formazione e di crescita personale, la conoscenza diretta di ambiti lavorativi diversi da quelli nazionali, la creazione e il consolidamento di una rete di contatti personali, di fatto ampliando le possibilità di trovare lavoro e accedere a salari più alti. Dallo studio emerge che l’Italia è uno dei Paesi più mobili: quasi un terzo dei dottorandi di ricerca si muove con una leggera prevalenza femminile.

Oggetto del terzo capitolo, di cui ha parlato Daniele Archibugi, Cnr-Irpss, sono le tendenze brevettuali. “I brevetti ci aiutano a scoprire le prospettive future, anticipando di qualche anno l’introduzione di nuovi prodotti, processi e servizi sul mercato”, ha sottolineato Archibugi. L’Italia non brilla in questo campo, avendo una produzione di industrie tradizionali, legate al made in Italy. Fa eccezione il settore delle “microstrutture e nanotecnologie”, in cui il nostro Paese vanta una quota brevettuale superiore al 3% del totale mondiale. La Francia ha una quota tripla di brevetti rispetto all’Italia, la Germania sette volte tanto. Gran parte dei brevetti, in Italia, sono prodotti al Nord, dove si rileva però uno spostamento dal classico triangolo industriale alla Terza Italia (Emilia-Romagna e Veneto).

L’attività brevettuale italiana riflette il ristretto numero di grandi imprese moderne e, al contempo, la presenza di un numero elevato di imprese di piccole e medie dimensioni che non riescono ancora ad avere una capacità innovativa abbastanza. “Un problema comune a tutta Europa”, ha concluso Archibugi “dominata dalle big tech, imprese dal cash flow enorme, che acquisiscono e integrano le start up innovative”. Cosa succederà nell’immediato futuro? L’Italia riuscirà nel 2030 a passare da 3.500 a 6.000 brevetti se si riesce a sviluppare un’integrazione a livello sistemico tra industria, sistema pubblico e università.

Maria Carmela Basile, Cnr, ha parlato del Trasferimento tecnologico alla frontiera della ricerca scientifica. Mettendo in luce come il successo del trasferimento di tecnologie e conoscenze dipenda dalla convergenza tra due fenomeni: la capacità di produrre risultati trasferibili (rapporto ricerca-impresa) e l’attenzione al potenziamento dei processi innovativi per accelerare la competitività dei settori e dei territori. La Relazione presenta anche un’analisi comparativa tra realtà nazionali e internazionali:

Complessivamente emerge un progressivo miglioramento delle prestazioni degli Uffici di Trasferimento tecnologico che operano a livello nazionale a sostegno di Università ed Enti Pubblici di Ricerca, anche se permane ancora un divario in termini di risorse destinate a sostenere l’interazione pubblico-privato in materia di processi di innovazione.

L’ultimo capitolo della ricerca, a cura di Adriana Valente, Visioni di scienza e fiducia nei vaccini, prende in esame dati di indagini internazionali. emergono due diverse visioni di scienza. Una prima definita di “scienza tangibile”, cioè in grado di rendere le nostre vite più semplici, confortevoli e sane, visione che si rafforza con le conoscenze scientifiche e l’istruzione. Per contro, rimane in parte della società anche l’immagine di una scienza “salvifica”, in grado, cioè, di fornire risposta a qualsiasi tipo di problema: una visione, questa, che non favorisce la partecipazione ai temi tecno-scientifici. Dunque, investire sulla crescita delle conoscenze nella società si conferma un obiettivo essenziale di policy. Con specifico riferimento alla fiducia nei vaccini, è interessante vedere come la percentuale di popolazione italiana che ritiene che i vaccini siano efficaci, registrata dalle indagini Eurobarometro tra 2019 e 2022, sia aumentata in seguito alla pandemia di ben 14 punti percentuali, raggiungendo il 92% e superando così la media europea.

Varie sono le iniziative che il Ministero, forte dello stanziamento di 2 milioni di euro per il 2024, supporterà: percorsi di orientamento, campagne di sensibilizzazione alla scelta, corsi di formazione con modalità innovative, supporto alla collaborazione tra settore pubblico e privato grazie alla nascita di start up, supporto alla realizzazione di iniziative extrascolastiche per il potenziamento delle materie Stem e borse di studio. “La valorizzazione delle discipline Stem rappresenta un’opportunità irrinunciabile, non soltanto per il loro ruolo da protagoniste nell’attuale mercato del lavoro, ma anche per la capacità di configurarsi come motore di cambiamento e di risoluzione di tematiche molto attuali e urgenti come il gender gap“, ha osservato il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini in una nota in cui ha espresso la sua soddisfazione per l’approvazione della Camera, all’unanimità, della legge che ha istituito la Settimana. Il ministro pone poi l’attenzione sull’importanza che le materie Stem entrino sempre più nell’orbita di interesse delle ragazze “Per superare la significativa disomogeneità di genere tra le aree disciplinari, che vede una maggiore concentrazione delle studentesse nell’area umanistica e nelle scienze sociali e una limitata presenza femminile nelle discipline scientifiche, il Mur ha intrapreso azioni volte a incentivare la partecipazione delle studentesse ai corsi di studio Stem, anche prevedendo una maggiorazione delle relative borse di studio, nell’ordine del 20% dell’importo erogato”.

Il divario di genere nella scelta delle materie Stem è ancora molto elevato (nonostante negli ultimi anni ci siano segnali positivi: secondo i dati di Openpolis in tutta l’Unione Europea le donne sono sottorappresentate nei percorsi di studio scientifici: a fronte di una media Ue di circa 21 laureati Stem ogni mille giovani tra i 20 e i 29 anni, le laureate sono 14,9 di contro al dato quasi doppio dei maschi, 27,9. In Italia i numeri sono ancora più bassi: 16,4 laureati in materie Stem ogni mille giovani, con una quota di maschi pari a 19,4 di contro alle femmine che si fermano a 13,3. Ecco perché sono tante le iniziative che aiutano le scuole a orientare le ragazze a scegliere i percorsi Stem perché il divario, come sottolineato dagli esperti, nasce nei primissimi anni di scuola.

 

di Sabrina Miglio

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