L’Università di Parma guarda al futuro

 


Nuovi corsi triennali, nuove magistrali in lingua inglese. Tematiche di studio che hanno a che fare con le sfide della società contemporanea. L’Università di Parma guarda al futuro e adegua la propria offerta formativa alla complessità del presente. Il rettore dell’ateneo, Paolo Martelli, in questa intervista a Campus, fa il punto sulle novità 2024-25 e valuta, in prospettiva, i nuovi scenari per gli studi universitari. “Talento e passioni, due parole fondamentali per la scelta della propria strada”.

 

Magnifico rettore, aprile è mese di open day. Il suo ateneo aprirà alle future matricole dall’11 al 13 aprile per le lauree triennali e il 16 per i corsi magistrali. Che università troveranno? Ci sono novità per l’anno accademico 2024-25?

Troveranno un’università di qualità, accogliente, inclusiva, attenta alle persone, aperta al mondo, in cui formarsi e crescere dal punto di vista intellettuale, professionale e umano. Un’Università pronta ad ascoltare la complessità della società e il tempo che cambia e a adeguare la propria offerta formativa; capace di accompagnare con efficacia alla laurea e alla professione; attrattiva per le studentesse e gli studenti grazie a una proposta complessiva che comprende anche la qualità di vita di una città bella, piacevole e stimolante come Parma. L’offerta formativa 2024-2025 è di 104 corsi: 49 corsi di laurea, quattro dei quali a orientamento professionale, 7 corsi di laurea magistrale a ciclo unico e 48 corsi di laurea magistrale. Ci saranno due nuovi corsi triennali: “Scienze e tecniche psicologiche per le sfide contemporanee” e il corso delle professioni sanitarie “Terapia della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva”. Ci saranno anche due nuovi corsi magistrali, entrambi in lingua inglese: “Functional and Sustainable Materials” e “Global Food Law: Sustainability Challenges and Innovation”.

 

Quanto conta l’orientamento fatto in tempistiche adeguate? Da più parti si dice che un orientamento corretto deve partire il prima possibile perché la scelta si costruisce lungo tutto un percorso. È così?

Per me sì, ne sono molto convinto. L’orientamento è un processo lungo, parte da lontano. Deve essere così perché sia davvero efficace e profondo. Trovare la propria strada significa sapersi ascoltare, saper vedere le proprie inclinazioni, saper riconoscere le proprie passioni, saper capire cosa ci piace e cosa ci piacerebbe fare. E molto altro. Spesso la risposta che troviamo era già in noi, avevamo solo bisogno di cercarla nel modo giusto e di farla affiorare. E per tutto questo serve tempo: per scegliere con consapevolezza e serietà il proprio cammino serve tempo. Accogliere studentesse e studenti “correttamente orientati” comporta un maggior successo non solo per le e gli interessati ma anche per l’università che si vedrà “premiata” da una più alta percentuale di laureate e laureati, peraltro soddisfatti dell’esperienza maturata.

 

Quest’anno, a febbraio, per la prima volta a Parma si è svolto il Salone dello Studente di Campus, in collaborazione con la sua università. Che bilancio ha tratto dall’esperienza?

È stata un’occasione d’incontro con tante aspiranti matricole e il bilancio che ne abbiamo tratto è più che positivo. Il nostro stand è stato molto frequentato e tutti i nostri corsi hanno destato interesse e curiosità. Le presentazioni dei Dipartimenti hanno fatto registrare numeri importanti.  I saloni dell’orientamento sono un’opportunità significativa. Lo sono per studentesse, studenti e famiglie, che possono trovarvi un ampio panorama per poter scegliere il proprio percorso al termine della scuola secondaria di secondo grado, ma lo sono anche per gli Atenei, che hanno l’occasione di incontrare tante e tanti giovani e di offrire loro tutte le informazioni di cui hanno bisogno per fare la scelta più consapevole, per il loro futuro di studio ma anche per il loro futuro come persone. Anche attraverso l’attività di ascolto di chi si presenta al desk si traggono indicazioni sulle esigenze che vengono manifestate e alle quali è necessario dare risposte. Il nostro consiglio è sempre quello di sfruttare al meglio questi momenti per acquisire il maggior numero di informazioni e chiarirsi bene le idee, in modo da arrivare a fare poi una scelta veramente oculata e di soddisfazione.

 

Parma è un’importante sede universitaria in una delle regioni più attrattive per gli studenti. Qual è l’indice di attrattività del suo ateneo? Sto pensando agli studenti fuori regione e agli studenti stranieri.

L’Università di Parma ha tradizionalmente un indice di attrattività molto alto. Viene scelta per la qualità dell’Ateneo e della sua offerta formativa e anche per la qualità di vita che propone la città. Una città che tra l’altro, con progetti come “Parma città universitaria” promosso insieme al Comune, vogliamo rendere ancora e sempre più a misura di studentesse e studenti. I dati dell’anno accademico in corso ci dicono che considerando tutti gli ordini di studio le iscritte e gli iscritti Unipr da fuori regione sono circa il 46% del totale, e che il 3,4% del totale sono straniere/i con residenza all’estero. Uno degli obiettivi di questi anni, all’interno di una macrolinea d’azione orientata all’internazionalizzazione, è proprio aumentare l’attrattività verso studentesse e studenti internazionali, anche ad esempio incrementando ulteriormente i corsi erogati in lingua inglese non solo magistrali ma anche triennali.

 

Come si rapporta il suo ateneo con il mondo del lavoro? Quanto è importante una rete solida di tutti gli attori della filiera? Scuola, formazione terziaria, lavoro. L’università è un luogo di confronto?

L’università è per definizione un luogo di dialogo e di confronto. Ed è parte integrante e attiva del contesto in cui è inserita: ne è uno dei principali soggetti e dev’essere capace di interagire positivamente con quel contesto e di orientarne lo sviluppo in un’azione di sistema, appunto in una rete ben strutturata e solida. Il rapporto con il territorio è fondamentale, e per territorio intendiamo tutto ciò che sta intorno all’università: a partire dai diversi attori della medesima filiera. Penso naturalmente alle scuole, con cui abbiamo un’interlocuzione stretta e ininterrotta, e penso al mondo del lavoro. Le aziende ci aiutano a costruire corsi sempre più vicini alle loro reali esigenze, spesso ci affiancano come partner nelle attività di ricerca e costituiscono inoltre un naturale sbocco per le nostre studentesse e i nostri studenti e anche per le idee che nascono e si sviluppano in università.

 

Che futuro vede per le università? Come dovranno cambiare per adeguarsi ai cambiamenti in atto nella nostra epoca, primo fra tutti quello digitale?

Le università dovranno fare i conti innanzitutto con il calo della natalità, con quello che viene definito “inverno demografico”. Le proiezioni demografiche sui prossimi vent’anni ci dicono che è previsto oltre il 20% in meno della popolazione in età per gli studi universitari. Questo significa meno potenziali studentesse e studenti, e significa meno persone da poter immettere poi nel mercato del lavoro. Sono considerazioni importanti che non si possono eludere, proprio perché è dai numeri che occorre partire per delineare prospettive di scenario. A fronte di tutto ciò, occorrerà muoversi per esempio per il rafforzamento dell’attrattività verso studentesse e studenti stranieri, con attenzione particolare a Paesi vicini e caratterizzati da dinamiche demografiche più vivaci; occorrerà ampliare collaborazione, cooperazione e scambio con atenei esteri; e occorrerà rimodulare l’offerta formativa universitaria con maggiore attenzione ai percorsi di continuità tra educazione terziaria ed esigenze del mondo del lavoro. Credo che quando si riflette sul futuro delle università si debba partire da considerazioni di questo tipo, più che da altro. Il digitale è uno strumento importante e la pandemia ci ha insegnato che può essere usato in maniera intelligente e utilissima, e le università hanno dimostrato di saperlo fare. Penso per esempio alla didattica blended, che è già molto sfruttata e che offre notevoli opportunità di maggiore inclusività. Personalmente non credo, lo dico con chiarezza, alle proposte delle università telematiche, perché sono convinto che l’università sia un’altra cosa. L’università non è solo acquisizione di conoscenze: è luogo e tempo fecondo per la formazione e soprattutto per la crescita a tutto tondo della persona, è un’esperienza di vita che non può prescindere dalle relazioni umane e sociali.

 

Qual è il consiglio che si sente di dare a tutti i giovani che verranno a visitare il suo ateneo ad aprile?

La prima cosa che mi sento di dire è di venire: di ritagliarsi un po’ di tempo per passeggiare nei nostri corridoi, tra i nostri stand, per assistere alle nostre presentazioni e per raccogliere informazioni anche parlando con le persone Unipr che sono al Salone. Venire a vedere direttamente, “toccare con mano” com’è l’università, cercare di farsi un’idea di cosa vuol dire studiare a Parma e di cosa offre non solo il nostro ateneo ma tutta la nostra città, dei tanti servizi che le studentesse e gli studenti hanno a loro disposizione. Un Open Day può aiutare ragazze e ragazzi a percepire cosa significa essere parte di una comunità universitaria. È un appuntamento importante nel percorso che dicevo prima e può aiutarle e aiutarli a compiere una scelta consapevole, che deve essere fatta attraverso un’analisi accurata di ciò che offre l’università ma anche guardando a come sviluppare al meglio i propri talenti e mettere a frutto le proprie passioni. Due parole fondamentali, queste, nella scelta della propria strada.

 

Sabrina Miglio

 

 

 

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