“Invalsi: dati oggettivi utili per capire come migliorare la scuola e ridurre la dispersione scolastica, anche quella implicita”

di Gabriele Toccafondi, deputato alla Camera, segretario della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione, già sottosegretario Miur

Quando si parla di prove Invalsi, del metodo per avere una fotografia della situazione in merito al livello di conoscenze dei ragazzi, in Italia si apre una discussione infinita. È la prova che il paese deve riflettere seriamente su cosa ci si aspetta dai percorsi educativi. Se ci aspettiamo che la scuola possa essere un percorso educativo per i ragazzi, che quindi debba puntare al meglio, a migliorarsi e non alla mediocrità, allora avere un sistema pubblico, nazionale, il più possibile oggettivo per valutare conoscenze e competenze dei bambini e dei ragazzi è sacrosanto ed è l’unica possibilità per venire a conoscenza di cosa funziona e cosa non funziona del sistema. Solo così sarà possibile avere dati che dimostrano cosa funzioni e cosa no, ottenere un resoconto che renda evidente a tutti e soprattutto al governo ciò che va migliorato, potenziato, capire ciò che ha bisogno di più attenzione, formazione e risorse. Chi nega ideologicamente e a priori tutto questo, mi chiedo cosa si possa aspettare dalla scuola.
I dati della rilevazione Invalsi di quest’anno ci dimostrano che tornare in presenza ha aiutato e molto nel primo ciclo, ma i dati dimostrano anche che dobbiamo rafforzare i percorsi scolastici, soprattutto della secondaria di secondo grado. Se su italiano, matematica o inglese la metà dei ragazzi ha conoscenze insufficienti o appena sufficienti, ci dobbiamo chiedere come aiutare la scuola, come preparare, selezionare e retribuire meglio gli insegnanti. Se il 10% dei ragazzi “maturati” hanno conoscenze basse, dobbiamo aprire un dibattito su come migliorare, su come utilizzare al meglio le ingenti risorse che, grazie al Pnrr, l’Europa ci presta per ridurre i divari o per riformare formazione iniziale e selezione dei docenti, nonché le loro retribuzioni anche introducendo le carriere. È chiaro infatti che moltissimo passa dagli insegnanti.
Occorre avere un percorso formativo chiaro, senza scorciatoie, una selezione vera perché a scuola devono entrare gli insegnanti più bravi e motivati, dobbiamo avere un dibattito serio nel paese e con la categoria su come avere una formazione in itinere e un livello stipendiale adeguato. Qualità, merito, selezione, devono essere parole d’ordine se si parla di scuola ed insegnanti. Invece in Italia quando il dibattito sulla scuola si accende si parla spesso di sanatorie, precariato, scioperi.
Il Ministero dell’Istruzione, il governo, devono utilizzare i dati che annualmente forniscono le prove per programmare gli interventi. Dove occorre rafforzare, dove programmare formazione, iniziative, dove destinate più risorse. La fotografia che ci consegna l’Invalsi ci dice, e da tempo, anche un’altra cosa: la dispersione scolastica è molto più ampia di quello che pensiamo. L’attenzione non deve essere rivolta solo a coloro che la scuola l’abbandonano, (circa 14%) ma anche a tutti i giovani che la scuola la terminano ma non hanno le competenze, la cosiddetta dispersione implicita. Come si legge nell’ultima relazione Invalsi: “Tali studenti sono a forte rischio di avere limitate prospettive di inserimento nella società molto simili a quelle degli studenti che non hanno concluso la scuola secondaria di secondo grado. Tale forma di dispersione scolastica è stata definita dispersione scolastica implicita o nascosta”. Nel 2019 la dispersione scolastica implicita si attestava al 7,5%, adesso è al 9,7%. In Italia, dopo aver visto ed ascoltato questi dati, invece di aprire un ampio e doveroso dibattito su come migliorare i percorsi scolastici, si apre una penosa discussione su come abolire le prove Invalsi oppure, ancora peggio, ultimamente non si apre proprio niente. Si prende atto cinicamente che la situazione è questa. Dimenticando che le prime vittime sono proprio i ragazzi.
Per cambiare rotta penso che ognuno, gli addetti ai lavori, ma anche l’opinione pubblica nel suo complesso, debba chiedersi di cosa la scuola, percorso educativo fatto per i ragazzi, frequentato dai nostri figli e nipoti, abbia realmente bisogno.