ORIENTALOSA/5 di Sergio Bettini

MAL DI TEST… PENSANDO ALL’UNIVERSITÀ

 

Di Sergio Bettini, psicologo dell’orientamento

 

Per molti studenti pensare all’università rappresenta di questi tempi pensare al tormento di una prova di ammissione ad un corso di laurea che avverrà affrontando delle prove chiamate solitamente test. Una prima riflessione dovrebbe riguardare proprio la parola test usata ormai in molte occasioni e spesso a sproposito.
Chiediamoci allora innanzi tutto cos’è un test e rispondiamo con una definizione di Anne Anastasi tra le più lapidarie e semplici: “Un test è una misurazione obiettiva e standardizzata di un campione di comportamento”.
È una misurazione obiettiva perché il punteggio ottenuto sarà sempre lo stesso indipendentemente da chi possa essere l’esaminatore; è standardizzata perché le condizioni di somministrazione e di determinazione del punteggio sono uniformi; infine misura un campione di comportamento che, pur essendo ridotto, è fondamentalmente uguale a quello più ampio a cui appartiene il soggetto esaminato.
Ecco allora un primo punto: un vero test viene valutato confrontando il punteggio del soggetto con quello del campione più ampio di riferimento, quindi che il test sia fatto a Torino, Venezia o Roma il campione è sempre lo stesso ed il candidato si confronta con persone simili per la valutazione. Ma questo vale per i test applicati nella selezione aziendale o in concorsi; se ci riferiamo alle Università è più probabile che il punteggio sia valutato di anno in anno e di luogo in luogo, dovendo scegliere i migliori di quel momento e di quel gruppo indipendentemente dal confronto con l’anno prima o con il campione di una città vicina (poiché è impossibile prevedere chi si presenterà in una sede a settembre è arduo avere suggerimenti dove sia meglio iscriversi per i test). Se volessimo essere fiscali comincia a mancare una caratteristica fondamentale per poter chiamare test quelli utilizzati dalle Università, che forse sarebbe più corretto chiamare Quiz o Prove di Ammissione. C’è poi la questione che un test, se usato in una qualunque situazione di selezione, dovrebbe essere predittivo della futura capacità di un candidato a svolgere con efficacia la mansione prevista. Ma ciò porterebbe a riflessioni assai più articolate, dico solo che questo è il punto sul quale la Psicologia discute se definire test quelli usati dalle Università.
In cosa consistono allora queste prove di ammissione? E soprattutto se uno studente si trova a doverle affrontare come comportarsi?
Proviamo a rispondere con ordine: le prove di ammissione, istituite dalle università quando il numero di candidati è superiore ai posti disponibili, sono costituite da un numero variabile di domande (il range varia di solito da 60 a 120) a risposta multipla e di diversa natura.
Le prove possono essere attitudinali o di profitto. Le prime valutano la predisposizione individuale a svolgere con maggior o minor efficacia un determinato compito: in questo caso si vogliono esaminare le capacità potenziali dello studente a seguire una determinata carriera universitaria. Si possono valutare la capacità analitica, sintetica, la comprensione verbale e la capacità numerica; queste prove sono più generali e vengono utilizzate da diversi corsi di laurea, come per esempio il test Verbale che può essere utilizzato indifferentemente nelle facoltà del Politecnico, Scienza delle Comunicazioni, Medicina, Psicologia. Pur non chiamandole test, queste prove di ragionamento sono comunque assai simili ai test classici e dunque ne condividono le tipologie alle quali appartengono i problemi da risolvere.
Fondamentalmente si avranno delle prove di Logica, che di solito sono articolate lungo tre filoni: a) ricerca di analogie o similarità di rapporti, b) identificazione della relazione corretta fra classi e categorie di oggetti indicati, c) successione di figure o numeri disposte secondo un particolare ordinamento, che deve essere individuato.
Un secondo probabile tipo di prova si collega alla Comprensione Verbale presentata sotto forma di brani da leggere velocemente seguiti da domande che li riguardano e le cui risposte devono essere dedotte unicamente dal contenuto del brano. Detto così sembra facile ma, anche a causa dell’emotività, si tratta delle prove che danno i risultati più disastrosi.
Per affrontare allora la questione relativa a come ci si deve comportare e preparare ai test, senza aspettarsi naturalmente suggerimenti miracolosi, passiamo in rassegna i consigli più frequenti e da manuali. Intanto pare utile che sia meglio arrivare alla prova preparati e quindi esercitarsi preventivamente ricorrendo ai libri che trattano i test di selezione e che propongono alcuni esempi per allenarsi ad affrontare tali prove. Infatti la situazione della scuola italiana, a differenza di quanto accade nei paesi anglosassoni ad esempio, è tale per cui i test non vengono praticamente mai utilizzati nelle scuole medie superiori: la prova di ammissione universitaria costituisce quindi nella maggioranza dei casi la prima occasione in cui lo studente si sottopone ai test a risposta multipla. Diverso comunque è sfogliare tranquillamente a casa dei manuali dal trovarsi poi davvero sul luogo delle prove. Si leggono consigli di “buon senso” nulla di miracoloso. Si sottolinea l’importanza di acquisire consapevolezza dei propri punti di forza o di debolezza e cioè se si rischia l’insicurezza nel rispondere pensandoci troppo o l’impulsività a dare risposte poco ponderate. Si consideri che c’è differenza tra non rispondere (punti zero) o rispondere in modo sbagliato (penalizzazione di solito di un quarto di punto). La nostra esperienza, quando abbiamo offerto l’occasione a studenti di scuola superiore di eseguire delle simulazioni di prove di questo tipo è che si possa migliorare soprattutto nel non perdere tempo piuttosto che nel diventare di colpo più precisi.
Alcuni studenti, di fronte ad un momento senza appello di valutazione “secca”, cominciano a guardarsi intorno, a cercare inconsciamente dei confronti con quanto stanno facendo gli altri, con il risultato che al termine di un’ora di lavoro hanno sprecato parecchi minuti nel distrarsi anziché dedicarsi completamente al proprio foglio e tentare di rispondere da soli. Su un numero alto di candidati una sola risposta in più può far avanzare in graduatoria di parecchi posti. Se sia meglio tentare la risposta anche se non si è sicuri o procedere oltre senza rispondere non è ovviamente possibile offrire un suggerimento generalizzato: ciascuno dovrà decidere se rischiare o meno ma ripetiamo che in queste situazioni concorsuali conviene accettare un margine di rischio e buttarsi un po’ senza pretendere la perfezione. Si è detto che l’Università solitamente penalizza le risposte errate per controbilanciare l’effetto delle risposte date a caso, ma sappiamo di concorsi nei quali non è prevista alcuna penalità per le risposte errate: ciò significa che in linea di massima potrebbe convenire rispondere sempre anche casualmente ai quesiti di cui non si conosce la risposta. In alcuni testi in circolazione si arriva a suggerire una formula matematica probabilistica per stabilire se e quando conviene comunque rispondere casualmente: confessiamo di faticare a comprenderla e forse si spreca più tempo a calcolare se conviene rispondere o meno che farlo istintivamente. Ma a parte questo è un po’ ingenuo sottovalutare il fatto che chi costruisce le prove è consapevole di tutti i trucchetti e le strategie che possono adottare i candidati: è ovvio ad esempio che per rispondere conviene eliminare le alternative errate o meno probabili, la questione è che non sempre sono così evidenti. Ma forse la migliore preparazione al giorno della prova è quella di viverla non come una prima volta ma in quanto deja vu, almeno su un piano emotivo: vivere in anticipo la situazione partecipando a simulazioni può aiutare (proprio per l’esperienza vissuta più che per i consigli che si ricevono) a controllare l’emotività e l’ansia, come ha dimostrato la funzione dei neuroni specchio.
Tutto è finalizzato ad agire avendo fiducia nei propri mezzi e nella propria intelligenza, decidendo se rischiare la risposta dopo aver tentato qualche strategia di soluzione piuttosto che sperando nella illuminazione improvvisa. Per fare un esempio di strategia, se ci riferiamo alle prove di comprensione verbale costituite da brani da leggere seguite da domande, può essere efficace leggere in anticipo le domande alle quali si dovrà rispondere prima del brano in modo da sintonizzarsi su ciò che interessa. Ma questo, anche se può aiutare, non risolve quando manca comunque una padronanza linguistica. Insomma la preparazione anticipata, la consapevolezza dei propri mezzi e di ciò che si dovrà affrontare, il saper convivere con gli “esami che non finiscono mai” sono un mix di organizzazione, sicurezza e certamente anche una quota di buona sorte.
Di solito però se vi è il rischio di ottenere meno di quanto si vale non è possibile meritare molto di più. I consigli, le strategie e le simulazioni servono allora più per tranquillizzare i “bravi” e portarli a rendere il massimo, piuttosto che per ottenere risultati insperati con delle performance miracolose.
Come ha detto Brecht “beati coloro che non hanno bisogno di eroismi!”.