Università degli Studi di Trieste, internazionali per vocazione

Intervista a Roberto Di Lenarda, rettore

 

Un ateneo al centro di quello che si può definire il “sistema Trieste”, una città dal forte respiro internazionale, già di per sé di frontiera, con un’altissima concentrazione di studiosi e ricercatori nei vari centri con sede in questo territorio che ha fatto della multidisciplinarietà e del carattere rigoroso degli studi scientifici il proprio biglietto da visita. Di tutto questo l’Università degli Studi di Trieste è il fulcro. Già nei numeri si legge l’aura internazionale dell’ateneo: degli oltre 16mila iscritti, solo un quarto sono della città, mentre il 32% viene dalla regione Friuli Venezia Giulia, il 37% da altre regioni d’Italia e il 7% sono studenti internazionali, percentuale che arriva al 10% per il post-lauream, uno dei dati più alti fra gli atenei italiani. “Certo, siamo un’università di frontiera e accogliamo tanti giovani dalla Slovenia e dalle terre limitrofe, ma ospitiamo studenti di ben 130 Paesi diversi”, dice con orgoglio Roberto Di Lenarda, rettore a Trieste dal 2019. Che sull’internazionalità e sulla capacità attrattiva dell’ateneo intende puntare sempre di più: “Stiamo facendo un grande sforzo per implementare l’offerta formativa in inglese”, dice il rettore “e da quest’anno abbiamo deliberato un forte investimento nel personale di supporto all’insegnamento delle lingue straniere”. Ma le novità non si fermano qui: dopo aver inaugurato tre corsi di laurea quest’anno, due in ambito sanitario e uno pedagogico, il prossimo anno accademico vedrà altri nuovi corsi: oltre a Scienze della formazione primaria, partiranno Scienze per l’ambiente marino e costiero e Geofisica e geodati. “Due corsi questi che si pongono nella scia del nuovo trend della formazione accademica, l’integrazione dei saperi”, spiega il rettore. “Mentre il primo interseca la sostenibilità, l’economia, la biologia e l’ecologia, il secondo unisce la geologia alla fisica, offrendo un curriculum moderno con competenze di gestione avanzata dei dati e di intelligenza artificiale”. L’ampliamento dell’offerta didattica toccherà anche i dottorati, elemento imprescindibile per la ricerca italiana, purtroppo negli ultimi anni un po’ in sofferenza nel mondo accademico italiano. Ma non a Trieste, dove anzi i numeri sono aumentati. L’aspetto che però al rettore più interessa sottolineare è il desiderio di riportare tutti gli studenti in ateneo a tempo pieno, dopo questi due anni difficili per tutti, ma soprattutto per i ragazzi sorpresi dalla pandemia nel momento cruciale della formazione. L’università recentemente ha investito molto nella qualità degli spazi, con sale studio aperte 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e spazi comuni appositamente creati per favorire la ripresa della socializzazione. “Abbiamo sempre cercato di tenere l’ateneo il più aperto possibile, garantendo ovviamente la sicurezza”, dice Di Lenarda, “perché crediamo che l’università sia davvero universitas, non soltanto un luogo di acquisizione di competenze, bensì una comunità fondata sulla costruzione del pensiero critico comune, sulla condivisione dei valori”. E che l’ateneo sia il nucleo di un sistema con un obiettivo comune lo dimostra anche il costante e biunivoco rapporto con gli stakeholders, “con coloro cioè che si aspettano un certo livello di preparazione dei nostri laureati”, conclude il rettore. “Questa continua connessione con il mondo del lavoro ci consente di costruire un’offerta formativa sufficientemente in anticipo rispetto ai bisogni futuri della società, con una visione strategica perché la vera sfida è ragionare su quali competenze serviranno al mercato ed alla società tra dieci anni”.

 

 

Articolo di Sabrina Miglio